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Ciao Sebastião, e grazie di tutto


"Sono arrivato in Kuwait dopo la guerra del Golfo, nel momento in cui il petrolio dei pozzi bruciava nell’aria e non smetteva di sgorgare. E ho vissuto l’apocalisse; ho visto il simbolo nero dell’umanità."   Sebastiao Salgado
"Sono arrivato in Kuwait dopo la guerra del Golfo, nel momento in cui il petrolio dei pozzi bruciava nell’aria e non smetteva di sgorgare. E ho vissuto l’apocalisse; ho visto il simbolo nero dell’umanità."  Sebastiao Salgado

Oggi il mondo della fotografia si ferma un momento. Con tristezza, abbiamo appreso della scomparsa di Sebastião Salgado, uno dei fotografi più importanti e influenti del nostro tempo. Aveva 81 anni, e il suo sguardo – quello con cui ha raccontato l’umanità per oltre mezzo secolo – continuerà a vivere nelle sue immagini, nei suoi libri, nelle sue storie.


Salgado non era “solo” un fotografo. Era un testimone. Ha passato la vita a raccontare il lavoro, la migrazione, la fatica, la sopravvivenza. I suoi progetti come Workers, Exodus, Genesis, e più di recente Amazônia, sono viaggi dentro l’anima del nostro pianeta e dei suoi abitanti. E l’ha fatto sempre in bianco e nero, con quella luce profonda e morbida che rendeva i suoi scatti immediatamente riconoscibili, carichi di rispetto e di potenza.


Chiunque abbia preso in mano una macchina fotografica per raccontare una storia ha qualcosa da imparare da lui. Non si trattava solo di tecnica, ma di tempo, dedizione, ascolto. Salgado tornava più volte negli stessi luoghi, parlava con le persone, aspettava la luce giusta. Dietro ogni suo scatto c’era una verità, costruita con pazienza e umanità.


In un mondo che corre veloce e si consuma in fretta, lui ci ha ricordato che la fotografia può (e forse deve) prendersi il tempo per capire prima di scattare. Ci ha insegnato che ogni volto, ogni gesto, ogni paesaggio può raccontare qualcosa di universale.


Con l’Instituto Terra, fondato con sua moglie Lélia, ha restituito vita a una foresta devastata, trasformando la fotografia in azione concreta. È una delle cose che lo rendeva speciale: non si limitava a mostrare il mondo com’era, ma cercava – con tutto sé stesso – di cambiarlo in meglio.

 
 
 

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