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L’intelligenza artificiale sta cambiando Adobe Stock… e il nostro mestiere


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I numeri non mentono: le immagini generate con intelligenza artificiale stanno invadendo il marketplace, e i fotografi si ritroviamo sempre più spesso a competere con qualcosa che non respira, non vede e non sente.


A inizio maggio 2025, le immagini AI presenti sulla piattaforma erano quasi pari alle fotografie reali: oltre

300 milioni di contenuti artificiali, contro i circa 340 milioni di foto scattate da persone in carne e ossa.


Pensateci un attimo: ci sono voluti quasi vent’anni per raggiungere quel numero con la fotografia tradizionale, mentre all’AI sono bastati tre anni scarsi.


Nel 2023, le immagini AI rappresentavano appena il 2,5% del catalogo. Era un fenomeno interessante, sì, ma marginale. Oggi invece ci troviamo di fronte a un vero e proprio pareggio digitale, con Adobe che ha iniziato a limitare i caricamenti per cercare di riportare un po’ d’equilibrio, e soprattutto capire come gestire la questione.


Ma cosa significa tutto questo?


Significa che la visibilità per un fotografo sta calando, che gli scatti – frutto di pazienza, occhio, tecnica, errori ed esperienza – devono farsi largo tra milioni di immagini create in pochi secondi da un prompt testuale.


Non sto dicendo che l’AI sia il male, tutt'altro. Alcuni risultati sono notevoli, e sì, possono anche ispirare. Ma qui stiamo parlando di un mercato che rischia di appiattirsi, di premiare la quantità anziché la qualità, e di confondere il reale con il plausibile. dove il "semplice" è meglio del "complesso", dove il pensiero unico è meglio dell'estro.


Adobe sostiene che le percentuali non siano così sbilanciate come sembrano, e che stanno lavorando per rendere il catalogo più vario e riconoscibile. Bene. È un primo passo. Ma come fotografi, non possiamo restare fermi a guardare.


E allora, cosa possiamo fare?


Per quanto mi riguarda, continuo a credere nella forza della fotografia autentica - per quanto autentica possa mai essere stata, ma questa è un altra storia - in quello che il nostro occhio riesce a vedere e raccontare, anche quando la luce è scarsa o il soggetto non è perfetto. Perché è lì che sta il valore. L’AI può simulare, ma non può sentire.


Il nostro compito, oggi più che mai, è quello di restare coerenti con la nostra visione, di sperimentare, raccontare, documentare, e – perché no – anche spiegare al pubblico la differenza tra uno scatto reale e un’immagine generata. È una forma di educazione visiva che, secondo me, non è mai stata così necessaria.



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