La genesi della Nikon F: dalle prime fotocamere 35mm all'oggetto del desiderio di una generazione.
Aggiornamento: 1 giu 2023
In cinque anni dalla nascita di questo blog non mi sono mai azzardato a parlare della Nikon F per una sorta di timore reverenziale verso quella che probabilmente è la fotocamera più iconica della storia.
È arrivato il momento di farlo, e chiedo scusa se inevitabilmente finirò per dire cose scontate, arcinote, dette e ridette. D'altronde quando si racconta la storia di una leggenda non lo si fa per ascoltare qualcosa di nuovo, ma per celebrarne il mito.
Le origini delle fotocamere 35mm
La storia della fotografia è strettamente correlata alle innovazioni tecnologiche che hanno progressivamente reso il processo fotografico sempre più semplice ed immediato. Leibniz diceva che la natura non fa salti, ma in ambito tecnologico i salti esistono eccome, e spesso sono correlati al rapido sviluppo di una tecnologia per l'utilizzo in ambito militare. Altre volte sono invece legate alla intuizione geniale di un singolo personaggio.
Nel 1925 la Leitz di Wetzlar, che produceva microscopi, presenta sul mercato la rivoluzionaria invenzione del suo ingegnere Oskar Barnack: una piccola fotocamera capace di utilizzare la pellicola cinematografica 35mm. La macchina come è noto produceva fotogrammi 24x36, di dimensioni doppie rispetto a quelli di un filmato cinematografico, il quale sfrutta la pellicola facendola scorrere in verticale nelle cineprese e non in orizzontale come nelle fotocamere che conosciamo.
Anche se oggi chiamiamo quel formato "full frame" si trattava di un formato molto piccolo per allora, che richiedeva necessariamente l'uso di un ingranditore per essere stampato. Per quasi un secolo la stampa dei negativi era avvenuta per lo più a contatto, ponendo il negativo a contatto diretto con la carta fotografica ed esponendo quest'ultima alla luce, solare o artificiale. La diffusione di un formato così piccolo è resa possibile anche dallo sviluppo delle ottiche di precisione della Leitz, nate per i microscopi.
Il piccolo formato presenta indiscutibili vantaggi, non ultimo quello del costo irrisorio della pellicola rispetto ai formati più grandi ed il maggior numero di fotogrammi disponibili. Trentasei fotogrammi a disposizione dovevano risultare una infinità rispetto a quelli disponibili fino a quel momento sui rulli 120 e 127, i quali potevano produrre dagli otto ai dodici scatti a seconda del formato utilizzato (quadrato o rettangolare). Molte altre case produttrici di fotocamere svilupparono rapidamente la loro versione della fotocamera di Barnack; molte di queste erano copie spudorate dell'originale, più o meno riuscite. Altre ditte, come Zeiss o Kodak, produssero strumenti dotati di una loro personalità; erano, rispettivamente, le Contax e le Retina.
Tutta questa lunga premessa serve a dire che quando Nel 1959 la Nippon Kogaku presentò al mondo la Nikon F non mancavano di certo sul mercato gli apparecchi 35mm. Ve ne erano una infinità ed erano molto diffusi, soprattutto in ambito amatoriale. In ambito professionale erano riusciti a farsi strada per esigenze particolari, ma non ad imporsi.
Le fotocamere più diffuse in ambito fotogiornalistico negli anni '50 erano senz'altro le reflex biottiche 6x6 a rulli 120mm tipo Rolleiflex o apparecchi folding per lastre 9x12 come le Graflex Speed Graphic.
Una delle ragioni principali era la diffidenza degli editori di allora nei confronti del piccolo formato, poco adatto alla stampa tipografica.
Le fotocamere 35mm erano utilizzate dai professionisti in ambiti specifici, primo fra tutti la fotografia in zone di guerra, dove una fotocamera piccola e leggera con molti scatti a disposizione poteva dare il meglio di sé.
Le fotocamere a telemetro 35mm
Oggi tendiamo a semplificare dicendo che prima dell'introduzione delle fotocamere reflex erano diffusi gli apparecchi a telemetro. In realtà molte delle fotocamere degli anni '40 e '50 non avevano affatto un telemetro: la maggior parte degli apparecchi 35mm erano fotocamere che oggi definiremmo "mirrorless", ossia senza specchio, "non reflex" insomma, ma spesso non disponevano neppure di un dispositivo per misurare la distanza di messa fuoco.
Uno strumento integrato per misurare la distanza di messa a fuoco era un optional prezioso, le prime Leica non lo avevano, e neppure le prime Kodak come la 35 o la Retina I.
Come potete vedere dalla pubblicità qui sotto il telemetro era considerato alla stregua di un "autofocus".
Le macchine fotografiche che probabilmente erano dotate del miglior telemetro erano le Contax. Fin dalle prime serie erano state dotate di uno strumento telemetrico con una base molto ampia (la distanza fra i due specchi necessari al funzionamento del dispositivo), e perciò più preciso di quello Leica. Inoltre le Contax fornivano le indicazioni di messa a fuoco direttamente nello stesso mirino galileiano che serviva ad inquadrare la scena, contrariamente alle Leica che erano dotate di un oculare separato per la messa a fuoco, il che costringeva il fotografo ad effettuare un'operazione in più rendendo più complicata la cattura del fatidico "istante decisivo".
Fotocamere di questo tipo hanno una enorme limitazione. Erano spesso dotate di ottica intercambiabile ma il mirino galileiano era adatto ad un solo tipo di ottica, il normale 50mm. Per utilizzare qualsiasi altra focale era necessario installare sulla fotocamera un mirino aggiuntivo, come si vede nel famoso autoritratto di Andreas Feininger.
Il fotografo doveva portare con sé perciò tutta una serie di accessori oltre alle ottiche, fra cui i mirini aggiuntivi corrispondenti alle varie focali da installare all'occorrenza.
Tra l'altro, se pure l'errore di parallasse dovuto alla distanza fra il mirino e l'oculare aggiuntivo era tollerabile nell'uso dei grandangolari, questo risultava tuttavia un problema molto insidioso nell'utilizzo di un teleobiettivo.
Per cercare una soluzione a questo problema Leica nel 1951 ideò il Visoflex, un sistema da avvitare fra fotocamera e lente (basato su un progetto precedente del 1930 ancora più ingombrante) che ospitava un box specchio ed un pentaprisma per trasformare in reflex le sue fotocamere.
Le fotocamere a telemetro insomma erano strumenti pratici solo per l'utilizzo di focali corte.
D'altronde, considerato il tiraggio (la distanza fra la flangia di innesto ed il piano della pellicola) molto corto è sempre stato più facile progettare ottiche grandangolari per le fotocamera a telemetro rispetto a quanto avviene per le reflex. Queste ultime infatti fra l'obiettivo ed il piano della pellicola devono ospitare il box specchio, costringendo i progettisti ad adottare schemi retrofocus per i grandangolari.
Le fotocamere reflex 35mm del dopoguerra
Le uniche fotocamere 35mm reflex a lente intercambiabile disponibili negli '50 in sostanza erano le Exacta prodotte dalla Ihagee di Dresda, che dopo la guerra faceva parte della Germania dell'Est. Si tratta della fotocamera che appare nel 1954 nel film di Hitchcock “la Finestra sul Cortile" Il protagonista, come apprendiamo fin dalle prime scene, è un fotoreporter sportivo e di guerra. La fotocamera è essenziale alla trama perché James Stuart non avrebbe potuto utilizzare alcun altro tipo di fotocamera come telescopio, per spiare le finestre di fronte come accade nel film: le Nikon F arriveranno cinque anni dopo.
Le Exacta erano molto ben costruite, presentano molte delle caratteristiche costruttive che saranno proprie delle Nikon (l'Exacta Varex è dotata di testa intercambiabile e di un tempo minimo di 1/1000 di secondo), ma hanno una grave pecca rispetto a quest'ultime: non dispongono del ritorno automatico dello specchio. Non lo hanno neppure le Hasselblad, ma su una fotocamera 35mm pensata per l’uso con focali lunghe questo rappresentava un grosso limite (si pensi all’utilizzo di un teleobiettivo al fronte in zone di guerra, o per documentare un evento sportivo).
Dopo ogni scatto l'immagine si oscurava finché non veniva ricaricato l'otturatore. Forse per questo i fotogiornalisti dell'epoca preferivano le reflex biottiche alle reflex ad ottica singola.
Come si è detto, ogni nazione produceva la sua interpretazione dell’idea di Barnack, ma le fotocamere tedesche continuarono ad essere l’oggetto del desiderio di ogni fotografo prima, dopo e durante la guerra. Alla fine del conflitto i sovietici portarono a Kiev gli stabilimenti delle Zeiss Contax come risarcimento per i debiti di guerra, linee produttive, macchinari e tecnici compresi, e continuarono a produrre le Contax prebelliche pressoché identiche, con insignificanti modifiche, fino al 1987.
Da noi in Italia la MPR Fratelli Rossi produceva la Gamma, la Ducati realizzò la mezzo formato “Sogno” e le Officine San Giorgio di Genova la Janua, solo per citarne alcune. L’americana Kardon, in mancanza di fotocamere tedesche negli anni del conflitto mondiale, produsse negli USA una perfetta copia della Leica IIIa per cercare di rifornire l’US Signal Corps (la fotografia è sempre stata strategicamente fondamentale in ambito militare). Le Fed e le Zorki russe sono fedeli copie delle Leica a vite.
Le fotocamere giapponesi nel dopoguerra
In mancanza di commissioni militari per ovvie ragioni, dopo il conflitto le aziende giapponesi riconvertirono rapidamente le loro industrie ad usi civili, per cercare di riprendersi economicamente dopo la sconfitta. La “Nippon Kogaku Kogyo KK – Japan Optical Manufacturing Corporation”, che oggi è nota come Nikon, dal 1917 produceva telemetri, telescopi, periscopi, binocoli per la Marina Imperiale, e dal 1925 anche ottiche per fotocamere e microscopi sotto il marchio Nikkor. Fornì ottiche e telemetro anche alla Canon (che diventerà poi sua storica rivale) per la sua prima fotocamera, la Hansa Canon. Si trattava di una copia della Leica che vide la luce nel 1935. Produsse infine, a partire dal 1941, i sedici telemetri di cui erano dotate le mastodontiche corazzate di classe Yamato. Il vicepresidente della Nippon Kogaku passò più di tre anni in Germania per progettarli.
Alla fine della guerra la Nippon Kogaku si trovò in serie difficoltà. Fino ad allora come si è detto produceva ottiche, non fotocamere, ma al Giappone servivano però prodotti da esportare all'estero., perché i giapponesi in quel momento non potevano certo permettersi l'acquisto di un prodotto di lusso. Si decise, per assicurare la sopravvivenza dell’azienda, di puntare tutto sulla realizzazione di una fotocamera 35mm a telemetro con otturatore sul piano focale (dopo aver scartato l’ipotesi della progettazione di una fotocamera biottica 6x6 basata sulla Rolleiflex per via delle difficoltà nel reperire un otturatore di tipo centrale).
Al termine degli accordi di fornitura con Canon, nel 1947, la Nippon Kogaku mise in produzione una telecamera a telemetro 35mm fortemente ispirata alle Contax, la Nikon 1.
La nuova fotocamera riprendeva l’estetica e la flangia di innesto dell’obiettivo dalle Contax, ibridate però con alcune soluzioni tecniche tipiche delle Leica, come l’otturatore in tela a scorrimento orizzontale più resistente e facile da riparare (consentiva tuttavia il tempo massimo di 1/500 di secondo contro il tempo di 1/1000 tipico delle Contax).
Le Contax pre belliche erano uno strumento straordinario, preferito rispetto alle Leica da fotografi come Robert Capa, che la utilizzò per documentare lo sbarco in Normandia.
Erano progettate con un approccio filosofico differente dalle loro storiche rivali di Wetzlar, ma ugualmente valide. La Nikon I cercava di copiare la parte migliore di entrambe le fotocamere, fondendole in un'unico strumento.
Ci riuscì perfettamente a quanto pare, ma le sue fotocamere, destinate principalmente all'esportazione (fino al 1952 tutte le macchine giapponesi riportavano sul fondello la dicitura "made in occupied Japan") inizialmente non ebbero il successo sperato al di fuori dei confini nazionali per via del formato ridotto del fotogramma utilizzato di 24x32mm invece di 24x36mm. I tecnici giapponesi intendevano probabilmente risparmiare pellicola in un momento storico in cui questa era preziosa, come qualsiasi altra cosa. Paradossalmente l'unica scelta progettuale fuori dagli schemi fu proprio quella che la penalizzò inizialmente la loro creazione.
Fu l'incontro fra il fotoreporter di Life David Douglas Duncan e le ottiche Nikkor a rendere Nikon il brand che tutti conosciamo oggi. Jun Miki, un fotografo giapponese collega di Duncan, nel 1950 scattò un ritratto a quest’ultimo. Secondo Duncan non c’era abbastanza luce per scattare la foto, ma quando vide il risultato di quello scatto per lui impossibile rimase a bocca aperta, ed acquistò degli obiettivi Nikkor per la sua Leica diventando il primo Nikon Ambassador della storia. Fu invitato nel 1950 in Giappone a visitare gli stabilimenti di produzione, ed utilizzò gli obiettivi appena acquistati per documentare la guerra di Corea nel giugno dello stesso anno. I colleghi di Duncan erano stupiti dai risultati da lui ottenuti con una "Japanese Camera" (così riportavano le didascalie nella rivista) e si chiesero se per caso non avesse utilizzato invece una fotocamera medio formato. Un giornalista del New York Times decise di raccontare la storia degli obiettivi Nikkor e di Duncan, e a quel punto l’azienda divenne nota in tutto il mondo.
Nel 1954 fu presentata la Nikon S2, una fotocamera a telemetro su base Contax come la S1 ma con alcune importantissime migliorie. Innanzitutto il formato del fotogramma era finalmente quello standard, 24x36. Fu aggiunta una leva di trascinamento rapido della pellicola ed un manettino per il riavvolgimento su modello di quello introdotto sulle leica nello stesso anno (nel 1954 viene presentata la M3), aggiungendo il tempo di scatto di 1/1000 di secondo. A quel punto il primato fino ad allora indiscusso delle fotocamere tedesche cominciò a vacillare.
Nel 1957 esce la costosissima Nikon SP, probabilmente l’incarnazione più evoluta delle Nikon a telemetro. Il mirino viene migliorato inserendo le cornici per le focali 28-35-50-85-105-135mm. Le cornicette grandangolari sono in un piccolo mirino sulla sinistra, mentre le rimanenti si inseriscono progressivamente per mezzo di un selettore posto sul carter superiore. Nell’arco di 18 mesi di produzione ne furono realizzate 22mila circa, ma dopo le prime 14mila la tendina dell’otturatore, che inizialmente era in tela, fu sostituita da quella in titanio molto più robusta, che diventerà un segno distintivo di tutte le Nikon di fascia alta.
E’ proprio da questo modello che nel 1959 deriva la Nikon F.
Finalmente la F
Nel 1957 come si è detto non erano affatto sconosciuti i vantaggi del sistema SLR (Single Lens Reflex, chiamato così per distinguerlo dalle reflex biottiche), il quale utilizza uno specchio inclinato di 45 gradi per inquadrare l’immagine attraverso la stessa ottica destinata ad effettuare la ripresa.
La tedesca Ihagee fu la prima ad introdurlo nel 1936 con la sua Kine Exacta. Essendo dotata di un mirino a pozzetto tuttavia, l'immagine era ribaltata sull’asse orizzontale. L’adozione del pentaprisma per raddrizzare l’immagine è una innovazione contesa fra la tedesca Contax S e l’italiana Rectaflex, entrambe degli anni ‘40. Le reflex prima del 1957 non avevano però il ritorno automatico dello specchio, che fu introdotto per la prima volta nella Asahi Pentax prodotta dalla Asahi Optical Co., Ltd.
Nelle reflex prodotte fino a quel momento, come abbiamo detto, la visione si oscurava ad ogni scatto finché non veniva riarmato l’otturatore, perché lo specchio rimaneva alzato. La pubblicità dell’epoca sottolinea come il fotografo potesse finalmente inquadrare ciò che realmente vedeva nel mirino, eliminando qualsiasi errore di parallasse tipico delle reflex biottica e la frustrante “cecità” temporanea dovuta al mancato ritorno automatico dello specchio. Per quanto il logo frontale ad arco delle Asahi Pentax ricordi quello delle Exacta sembra che non vi sia una discendenza diretta fra la fotocamera giapponese ed il suo analogo tedesco. Quando il prototipo della Pentax fu completato nel 1949 nessuno dei progettisti aveva avuto modo di vedere una reflex 35mm tedesca (Zeiss o della Iahgee) dato che queste non potevano essere esportate in Giappone.
Ma torniamo alla Nippon Kogaku; quando l’azienda, nel 1959, decise di trasformare in una reflex la sua SP inserendovi un box specchio ed un pentaprisma intercambiabile su modello della Exacta, anche il ritorno automatico dello specchio era perciò una soluzione già presente sul mercato da due anni.
In cosa perciò si può dire che la Nikon F sia stata realmente rivoluzionaria?
Si può banalizzare un mito riducendolo ad una semplice manovra di marketing ben riuscita?
Innanzitutto la Nikon F era molto più economica delle Nikon SP, pur condividendone moltissime delle qualità e componenti costruttive. La Nippon Kogaku riuscì a ridurre moltissimo i costi di produzione trasformando la sua fotocamera più apprezzata in uno strumento realmente accessibile ai professionisti, migliorandone al tempo stesso le qualità operative.
La Nikon F aveva tutto ciò che si poteva desiderare da una fotocamera. Disponeva di un parco ottiche eccellente, derivato dalle Nikon a telemetro, e di un nuovo innesto universale a baionetta. Le ottiche del sistema a telemetro si potevano comunque utilizzare per mezzo di un adattatore, ed il pentaprisma intercambiabile copriva il 100% del campo inquadrato, caratteristica di tutte le F successive. L’otturatore era realizzato con tendine al titanio che non rischiavano di bucarsi se la fotocamera veniva accidentalmente lasciata sotto il sole con l’obiettivo rivolto verso l’alto, come poteva accadere con quelle in tela gommata. Il contapose era autoazzerante, cosa non scontata all’epoca.
Per cambiare la pellicola è necessario rimuovere completamente il dorso, esattamente come sulle Nikon SP e sulle Contax da cui erano derivate, una soluzione scomoda ma necessaria per consentire alla fotocamera di montare il motore F-36, che era solidale con il dorso. All'epoca la Nikon F era pressoché l'unica fotocamera 35 millimetri a disporre di un motore come accessorio standard. Il fatto di dover rimuovere completamente il blocco dorso/motore per cambiare la pellicola oggi può sembrare scomodo, ma all’epoca era l’unica soluzione possibile. Non era stato sviluppato un modo per trascinare la pellicola attraverso il fondello; le Nikkormat, versione che oggi definiremmo “prosumer” della F, avevano il dorso incernierato ma non potevano montare alcun motore. La prima Nikon con dorso incernierato e predisposizione per il motore, la F2, arriverà nel 1971.
Nel 1962 fu presentato il mirino esposimetrico, noto come Photomic, che poteva essere installato sulla fotocamera al posto del prisma semplice.
L’estetica della fotocamera derivava direttamente dalle Contax come si è detto, ma fondamentale fu l’apporto del designer Yusaku Kamekura, autore di molti dei manifesti pubblicitari della compagnia. A questo proposito, consiglio la visione del bellissimo documentario “Designing the Nikon F” (lo trovate in fondo alla pagina).
Kamekura faceva parte di un gruppo di designer giapponesi influenzato dalle correnti architettoniche europee, dal Bauhaus, dall’Esprit Nouveau di Le Corbusier e dal costruttivismo russo. Unì ciò che aveva appreso durante i suoi studi con l’essenzialità zen caratteristica della sua cultura di origine. Le sue pubblicità erano caratterizzate da una grafica basata su linee e forme geometriche pure, e fece lo stesso con la F. Ripulì le linee della SP, derivate dalle Contax. Il design delle Contax era già basato su linee parallele ed angoli netti di 45 o 90 gradi, piuttosto caratteristico rispetto alle coeve Leica o alle Exacta. Kamekura vi aggiunse un pentaprisma a piramide dalle linee affilate, un triangolo perfetto (che inizialmente non convinceva i suoi colleghi), fondendo così in un unico oggetto il cerchio (della lente) il quadrato (del box specchio) e il triangolo (del prisma) figure geometriche perfette per lui simboliche sotto vari aspetti.
Il resto è storia che si fonde con il mito. Come è noto la Nikon F dimostrò la sua affidabilità sul campo, letteralmente. Fu ampiamente utilizzata dai fotoreporter nella guerra in Vietnam e fu vista fra le mani delle celebrità in ogni parte del mondo. Stanley Kubrick, da ex fotografo di Look qual’era, la mostra fra le mani dei protagonisti di Full Metal Jacket. Dennis Hopper, fotografo di talento nella vita reale oltre che attore, ne indossa ben quattro nel personaggio che interpreta in Apocalipse Now. Come è noto appare in Blow Up di Antonioni, del 1967, in un ruolo da protagonista. Nel 1968 una Nikon F utilizzata da Don Mc Cullin in Vietnam fermò il proiettile esploso da un AK-47, salvandogli la vita (così vuole la leggenda). Non basterebbero molte pagine per raccontare gli aneddoti legati a questa fotocamera, e speriamo di farlo degnamente nei post a seguire su questo blog di fotografia.
Concludo con una serie di siti di riferimento, alcuni dei quali molto interessanti:
Consiglio la lettura del numero speciale di Nikon Photography “100 Anni di Nikon - il mito intramontabile”, Sprea Edizioni, Luglio 2017
L'attrezzatura fotografica di Lisetta Carmi esposta nel 2019 al Museo di Roma in Trastevere in occasione della retrospettiva sull'autrice. Insieme alla Leica M2 è esposta la sua Nikon F Photomic con un 85mm Nikkor.
Infine consiglio il seguente documentario in due parti (in lingua inglese):
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