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Huawei mostra al mondo per la prima volta l'ambiente dove testa le sue fotocamere

Huawei ha aperto alla redazione di DDay.it (Corriere della Sera) le porte delle sue linee di produzione automatizzate a Songshan Lake, Dungguan (a pochi chilometri da Shenzen, nel cuore della Cina).

L'impianto è coperto da segreto industriale, e l'accesso è vietato alle fotocamere e alle macchine da presa, ma sono state diffuse delle immagini realizzate appositamente ad uso della stampa che potete vedere nell'articolo.


South zone manufacturing plant, Songshan Lake

L'articolo originale, lo potete leggere qui:

ed è estremamente interessante da molti punti di vista, innanzitutto sotto l'impressionante aspetto dell'automazione raggiunta. Nell'impianto lavorano circa ventimila persone, ma la catena di produzione vera e propria (in particolare quella del P20) richiede il lavoro di sole 17 persone per realizzare uno smartphone ogni 28,5 secondi.


Ci stiamo avvicinando rapidamente ad un futuro più volte previsto dalla fantascienza, quello in cui le macchine realizzeranno altre macchine in maniera completamente automatizzata, senza bisogno dell'uomo.

L'automatizzazione non si limita alla fase costruttiva. Anche la fase di stress test dei cellulari è completamente affidata a macchinari, che simulano le condizioni estreme a cui viene sottoposto un cellulare nell'arco della sua vita.

Delle macchine sottopongono a torsione gli smartphone, picchiettano sullo schermo migliaia di volte o inseriscono ed estraggono con violenza il jack ripetutamente. C'è persino una grande natica di gomma che schiaccia il dispositivo simulando la pressione a cui è sottoposto uno smartphone riposto nella tasca posteriore dei pantaloni.



La parte che a noi interessa maggiormente, come blog di fotografia, è quella che descrive l'ambiente dove vengono testate le fotocamere, un ambiente tutt'ora segretissimo di cui non sono state diffuse immagini, e di cui esiste solamente il racconto dei redattori di DDay.it, a cui è stato consentito l'accesso per la prima volta:




Tramite una serie di binari motorizzati gli ingegneri che si occupano delle fotocamere possono ricreare migliaia di scenari assemblando tra di loro diversi oggetti, sfondi e variando le condizioni di luce. Ci sono tantissimi scenari statici, ma anche scene dinamiche con elementi mobili per mettere alla prova l’autofocus: il laboratorio può essere configurato per ottenere centinaia di diverse condizioni di scatto tutte ripetibili e identiche. A scattare la foto non c’è un uomo, ma un automa, con un braccio robotizzato che tiene fermo lo smartphone e inquadra le varie scene usando sia le camere posteriori che quella frontale. “Per ogni fotocamera vengono scattate circa un migliaio di foto in automatico, e potendo ricreare la stessa identica condizione siamo in grado di effettuare anche confronti diretti per vedere se un aggiornamento software ha portato effettivi miglioramenti o ha peggiorato la resa”.


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