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Il mio villaggio - Umberto Verdoliva

Muoversi con una fotocamera in un luogo qualsiasi, consente a chi fotografa di diventare non solo un osservatore e un testimone del proprio tempo ma anche un possibile narratore. Vivere osservando con attenzione le cose che accadono intorno a sé significa, a mio parere, raccogliere tracce di qualcuno e, allo stesso tempo, lasciarne di proprie.



Le motivazioni che spingono a farlo sono varie, e dipendono soprattutto da ciò che la fotografia rappresenta per ciascuno di noi. Di sicuro ho una certezza, la fotografia parla sempre di sé stessi, pertanto, raccontando con la fotocamera il “mio villaggio” mostro comunque agli altri vari aspetti di me: sensibilità, cultura, gusto, interessi.

Il “mio villaggio” è la mia casa, la famiglia, le strade che percorro, i luoghi del mio lavoro, i viaggi e le città in cui sono stato, gli incontri, le storie che vivo, gli amici. La mia fotografia proviene da qui, da una esposizione costante di tutto ciò che la vita mi offre. Non è l’unico modo per per esprimermi, né il migliore, ma uno dei tanti, quello che ho scelto.


La scelta è dipesa dal fatto che ho incontrato la fotografia molto tardi. Avevo già un lavoro consolidato, legami affettivi indissolubili, un percorso già intrapreso, e poco alla volta la fotografia è divenuta uno strumento di espressione personale attraverso cui difendermi e che mi consentiva di entrare in contatto con una realtà esterna che nel tempo è diventata sempre più ostile e difficile da capire. Ho scelto così un genere fotografico che ero in grado di praticare con naturalezza, senza preoccupazioni particolari, basato principalmente sul guardare e interpretare le cose esistenti intorno a me cercando di cogliere i momenti con una fotocamera.

Dopo 15 anni posso dire di essere ancora convinto di questa scelta.



Quando mi viene chiesto di presentarmi come fotografo scelgo di definirmi un “fotografo di strada”, cosciente che qualsiasi etichetta non potrà mai descrivere a pieno la mia fotografia, ma anche chi osserva le mie foto mi considera uno street photographer, per cui va bene così.

La strada è un elemento del villaggio in cui vivo, dove accadono cose, ci sono incontri, si notano cambiamenti in cui il tempo ha un ruolo importante; io raccolgo continuamente memoria e segni di altri con la speranza di poterne lasciare a mia volta.

Per me la fotografia è un cammino, non credo si possa insegnare, non mi piace pensare che possa avere regole o tanto meno condizionamenti alla propria ricerca.


Le domande che mi pongo ogni giorno sono:

Che senso ha per me fotografare? Cosa mi spinge a portare costantemente una fotocamera dovunque io sia, e non solo in strada?

Le mie fotografie potranno mai essere significative per qualcuno? A chi servono? Sono utili? Chi le osserva cosa prova e cosa percepisce? Sarà mai possibile comprendere i sentimenti con cui le foto sono state scattate?




Io credo che solo il tempo e soprattutto chi guarderà un giorno le mie fotografie potrà fornirmi una risposta sensata. Io ancora oggi non ho le risposte a queste domande.

So solo che fotografare è diventato un atto necessario con cui entro in un mondo tutto mio, in cui mi trovo bene, senza dipendere da nessuno o aspettarmi chissà cosa; un mondo in cui mi arricchisco di continuo guardando grandi fotografie di altri che mi permettono di vedere e conoscere l’umanità sotto diversi aspetti.


Osservare attraverso una fotocamera mi da la possibilità di comprendere maggiormente me stesso, a volte incontrando gli altri, altre volte restando a distanza di sicurezza dal soggetto. C’è di sicuro l’idea di testimoniare il mio tempo, ma anche la necessità di lasciare delle piccole tracce. Con la fotografia non ho mai pensato di realizzare lavori che potessero incidere a tal punto da sollevare interrogativi sociali profondi o che potessero un giorno diventare documentazione significativa, storia… credo che ci sia bisogno di ben altri presupposti, m’interessa invece evidenziare aspetti di una umanità semplice, cercare la bellezza del quotidiano, fotografare sconosciuti come se facessero parte della mia famiglia, individuarne l’essenza per comprendere gli stati d’animo, scoprire luoghi e città, raccontare le storie che vivo, giocare con la realtà perché la fotografia me lo consente.


Non faccio altro che descrivere con i migliori sentimenti possibili i protagonisti di questo mio personale «villaggio», con la speranza di poter parlare in qualche modo a qualcuno, come può fare uno scrittore con una storia o un poeta con una poesia; il tutto diventa un percorso che è poi è quello della mia vita descritto attraverso delle immagini e, in questa visione, porto con me chi incontro, chi amo, chi scelgo.

Per questo non mi sento un fotografo ma solo un uomo che utilizza la fotografia per esprimersi, per capire, per ricordare, per migliorarsi. Questo è il senso che ho dato al mio fotografare.




Se guardando le mie foto tutto ciò viene percepito, allora ho raggiunto il mio obiettivo.

Il termine “street photography” spesso mette in crisi gli stessi fotografi che la praticano, che vanno in corto circuito su regole precostituite, sugli approcci. I dibattiti su cosa sia o non sia la street photography sono all’ordine del giorno ed evito di entrarci. È facile contraddirsi nei pensieri e cadere fotograficamente in qualcosa di già visto ma soprattutto di poco sentito a livello personale perché condizionati in qualche modo. Alla lunga diventano dei vincoli che influenzano e che allontanano dalle vere ragioni per cui fotografiamo.


Utilizzo la parola street photography per identificare un personale e consapevole approccio al «quotidiano», che ritengo debba essere per forza di cose diverso e unico per ognuno di noi, un concetto che spesso ci sfugge di mano e che non può essere codificato in una definizione chiara e precisa.

Il termine “street photography” probabilmente nasconde un’appartenenza ad un movimento attivissimo che spinge migliaia di fotografi a trasformare il quotidiano in una sorta di competizione alla ricerca di attimi speciali, dimenticandosi probabilmente proprio del piacere silenzioso di incontrare sé stessi e gli altri in questo osservare, camminare e fotografare.


Umberto Verdoliva

 

Umberto Verdoliva ha iniziato ad occuparsi di fotografia nel 2006. Nato a Castellammare di Stabia in provincia di Napoli nel 1961 – vive a Treviso dal 2004, cura laboratori e approfondimenti sulla street photography.

È stato membro dal 2010 al 2018 del collettivo internazionale “VIVO”. Principali pubblicazioni Il Fotografo, La Repubblica.it, Foto Up, Fotografia Reflex, Progresso Fotografico, ISP magazine, Le Journal de la Photographie, ViEWORLD magazine, L’Oeil de la photographie, Camera Pixo magazine, Rinse magazine, APF magazine, kwerfeldein magazine, LensCulture, Fotocult. Principali riconoscimenti Nella short list 10 del SONY WORLD PHOTOGRAPHY 2009.

Vincitore ex-equo del portfolio FABRIANO PHOTO FESTIVAL 2010. Vincitore ex-equo al portfolio di LUCINICO 2013. Segnalato al portfolio Italia Trentino immagini 2013. Finalista al premio SPAZIO 23 – 2013. Ospite a Sassoferrato (AN) nell’ambito del festival FOTO FACE NEWS 2013 portfolio Italia. Finalista del premio FOFU PHOTO CHALLANGE 2013. Finalista al premio CIFA “crediamo ai tuoi occhi 2013” sezione libri autoprodotti. Autore segnalato al portfolio Italia Trentino immagini 2014. Finalista al MIAMI STREET PHOTOGRAPHY FESTIVAL 2014 e vincitore premio del pubblico. Vincitore ex equo del premio MIRANO FOTOGRAFIA 2015. Finalista allo Streetfoto SAN FRANCISCO AWARD 2016. Finalista al FAPA Fine Art Photography awards 2016. Finalista al MIAMI STREET PHOTOGRAPHY FESTIVAL 2016;


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