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Immagine del redattoreRodolfo Felici

La fotografia compie oggi 180 anni, ma in realtà ne ha almeno 193


"L'Atelier dell'artista", dagherrotipo del 1837 realizzato da Louis-Jacques-Mandé Daguerre in persona, è la più antica natura morta fotografica giunta fino a noi

In occasione dei 180 anni dalla presentazione della Fotografia all'Accademia delle Scienze e dell'Accademia delle Belle arti francese, avvenuta il 19 agosto 1839, vi riproponiamo questo post pubblicato il 7 gennaio 2019.

 

Su quasi tutti i quotidiani del mondo troverete oggi la seguente notizia: la fotografia compie oggi ufficialmente 180 anni.


In realtà di anni ne compie almeno 193, perché la prima fotografia della storia di cui siamo a conoscenza è quella che potete vedere stilizzata nel logo del nostro blog di fotografia, ovvero "Vista dalla finestra a Le Gras", scattata nel 1826 da Joseph Nicéphore Niépce, realizzata con una lunga esposizione di ben otto ore e del bitume di Giudea come supporto fotosensibile.

Niepce aveva già presentato la sua invenzione a Londra alla Royal Society nel 1827, ma quest'ultima non aveva accettato la comunicazione perché l'inventore francese non volle rivelare l'intero procedimento. All'epoca brevettare una invenzione a livello internazionale non era certo cosa semplice.


Nel 1833 tuttavia, a soli quattro anni dalla realizzazione dell'accordo con Daguerre, Niepce morì e quest'ultimo continuò da solo le ricerche, escludendo dall'accordo il figlio ed erede di Niepce, Isidore, che a quanto sembra non fornì alcun contributo agli studi.

Daguerre modificò il contratto e impose il nome dell'invenzione in dagherrotipia, anche se mantenne il contributo di Joseph Niépce. Isidore firmò la modifica pur ritenendola ingiusta.


Nel 1837 la tecnica raggiunta da Daguerre fu sufficientemente matura da produrre una natura morta che è giunta fino a noi, e che vedete riprodotta all'inizio di questo post. Il nuovo procedimento era molto diverso rispetto a quello originario preparato da Joseph Niépce, ed implicava l'utilizzo di un supporto realizzato con una lastra di rame ricoperta di una sottile foglia di argento lucidato. Anche questa immagine non era fissata in maniera stabile. I dagherrotipi si rovinavano ogni volta che venivano esposti alla luce, ed erano perciò conservati in appositi cofanetti.

In cerca di fondi, Daguerre fu contattato da François Arago, che propose l'acquisto del procedimento da parte dello Stato. Il 6 gennaio 1839 la scoperta di una tecnica per dipingere con la luce fu resa nota con toni entusiastici sul quotidiano Gazette de France, ed è questo l'anniversario che si celebra oggi (e che in realtà semmai era da celebrare ieri). Questa data viene però spesso confusa con quella della presentazione che avvenne il 19 agosto 1839, quando il Il procedimento venne reso pubblico in una riunione dell'Accademia delle Scienze e dell'Accademia delle Belle arti.



Arago descrisse la storia e la tecnica legata al dagherrotipo, inoltre presentò una relazione del pittore Paul Delaroche, in cui furono esaltati i minuziosi dettagli dell'immagine e dove si affermò che gli artisti e gli incisori non erano minacciati dalla fotografia, anzi potevano utilizzare il nuovo mezzo per lo studio e l'analisi delle vedute. La relazione terminò con il seguente appunto di Delaroche:



«Per concludere, la mirabile scoperta di monsieur Daguerre ha reso un servizio immenso alle arti.»

(Paul Delaroche)


Daguerre pubblicò un manuale (Historique et description des procédés du dagguerréotype et du diorama) tradotto ed esportato in tutto il mondo, contenente la descrizione dell'eliografia di Niépce e i dettagli della dagherrotipia. Anche se il procedimento fu reso pubblico in Francia, Daguerre acquisì un brevetto in Inghilterra, con il quale impose delle licenze per l'utilizzo della sua scoperta.


Il re di Francia Luigi Filippo concesse un sussidio vitalizio di 6000 franchi a Daguerre per l’acquisto e la liberalizzazione del dagherrotipo (4000 andarono invece al figlio di Niépce, Isidore). Seimila franchi di allora equivalevano a circa trentamila euro di oggi, non molti per l'invenzione del secolo, ma di fatto, a seguito della concessione del re, la fotografia divenne open source, diffondenosi rapidamente in tutto il mondo.


Poco dopo l’annuncio ufficiale della fotografia, numerosi personaggi, in Francia e in Europa, si fecero avanti rivendicando metodi ed esperimenti legati ad essa.

Come spesso avviene nella storia, quando l'evoluzione tecnologica consente una nuova grande scoperta questa sembra apparire simultaneamente nelle menti di geniali inventori in varie parti del globo.


Fra le persone da ricordare vi sono:


Antoine Hercule Romuald Florence, conosciuto come l'isolato inventore della fotografia in Brasile, il quale ideò il procedimento a matrice negativo/positivo. Nel 1833 ottenne delle immagini su carta abbastanza simili a quelle di Niépce e di Daguerre, ma l’isolamento del luogo in cui viveva gli impedì di far conoscere la propria scoperta e i propri esperimenti (portati alla luce dallo storico brasiliano Boris Kossoy); pare addirittura che Florence utilizzò già nel 1834 il termine “fotografia”.


Hippolyte Bayard (1807-1887), che fu tra i primi fotografi della storia e inventore di un procedimento noto come stampa positiva diretta, che consente la realizzazione di un positivo non riproducibile, ma venne persuaso da François Arago a posticipare la presentazione della sua scoperta, favorendo in questo modo il procedimento di Louis Daguerre.


William Fox Talbot è un fisico inglese, stretto collaboratore di Daguerre ed inventore della fotografia come noi la intendiamo oggi, ovvero una matrice riproducibile potenzialmente all’infinito, ma la sua invenzione fu presentata alla Royal Society sette mesi dopo quella di Louis Daguerre, il dagherrotipo. Questo ritardo fece perdere importanza alla calotipia, anche perché il metodo utilizzato da Talbot era più laborioso di quello presentato da Daguerre.