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Fotografare senza esposimetro: la regola del 16 ed altre valide soluzioni

Breve disclaimer: il tema che andremo a trattare fa parte delle nozioni di base di tecnica fotografica; è un argomento che probabilmente risulterà ovvio e banale a gran parte dei lettori di questo blog di fotografia, ma è anche una di quelle nozioni che dovrebbero far parte del bagaglio di chiunque si occupi di fotografia. Se pensate che possa esservi utile, proseguite nella lettura. Altrimenti passate tranquillamente ad altri articoli del blog.


Partiamo da un assunto di base: per più di cento anni (dai tempi di Niepce fino all’introduzione del Photomic, storico accessorio per la Nikon F), nessuno ha mai realmente sentito la necessità dell’esposimetro così come lo intendiamo oggi, ossia uno strumento incorporato nella fotocamera a misurazione della luce riflessa. Gli esposimetri non erano molto diffusi, e quando cominciarono ad essere integrati nelle fotocamere (la prima fotocamera 35mm con esposimetro incorporato è la Contax III del 1935) utilizzavano cellule al selenio che fornivano una lettura della luce incidente, indicando un valore che bisognava comunque saper leggere e riportare poi sulle ghiere dei tempi e dei diaframmi.




Per gli esposimetri al CdS (solfuro di cadmio), che utilizzano una resistenza elettrica che varia in base alla luminosità della scena, bisognerà attendere fino al 1965. Fra i primi ad utilizzare questa soluzione ci fu appunto Nikon, che introdusse negli stessi anni sia il Photomic per la Nikon F che la Nikkormat Ftn, in sostanza una Nikon F con esposimetro integrato con alcune lievi limitazioni (non può montare il motore e non ha mirino intercambiabile).


Quando non ci si affidava all’esperienza, si utilizzavano per lo più tabelle esposimetriche o esposimetri esterni che assomigliavano a regoli calcolatori. Nessuno si sarebbe sognato un tempo di cambiare l’esposizione ad ogni scatto in base al soggetto inquadrato, come di fatto si usa fare oggi. L’esposizione si decideva all’inizio della sessione di scatto in base alle condizioni di luce, e si manteneva invariata fino a che la luce non cambiava.


Le Luminographe, antico esposimetro (actimometro)

Le fotocamere attualmente in commercio ci hanno per certi versi abituato male. Utilizzando esposimetri incorporati con lettura a luce riflessa danno l’impressione che l’esposizione vari ad ogni istante, in base al soggetto inquadrato; come è noto, l’esposimetro incorporato fornisce un valore riferito al grigio medio 18%. In parole povere, il risultato della lettura è corretto esclusivamente se il soggetto è di colore grigio; se invece è di un colore molto chiaro o molto scuro l’esposimetro tenderà a fornire un risultato scorretto perché i colori riflettono la luce in maniera differente, e la nostra fotocamera non sa di che colore è il soggetto che stiamo inquadrando. La lettura fornita da un esposimetro a luce riflessa corrisponde a quella fornita da un esposimetro a luce incidente solamente quando il soggetto inquadrato è un cartoncino color grigio medio 18%, ossia un soggetto decisamente noioso da fotografare.


Dato che le fotocamere odierne utilizzano per lo più esposimetri a lettura matriciale o ponderata centrale il risultato risulta comunque accettabile, perché frutto di una media dei colori presenti nella scena inquadrata. L’esposizione cadrà comunque all’interno della latitudine di posa della pellicola o del sensore, che è piuttosto ampia. Qualche problema in più si può avere con le diapositive, che richiedono una esposizione più precisa in virtù della ristretta latitudine di posa, o con pellicole di bassa sensibilità.

Provare ad utilizzare la propria fotocamera senza esposimetro, così come si faceva un tempo, è però un valido esercizio per arrivare a comprendere meglio sia il funzionamento della luce che quello del supporto (pellicola o sensore).


Rinunciando all’esposimetro per un certo periodo di tempo si imparerà a riconoscere e a valutare ad occhio le condizioni di luce generali, invece che quelli della luce riflessa dal soggetto. Non è certo una abilità essenziale per scattare buone foto, e non migliorerà in maniera diretta la qualità del nostro lavoro, ma lo farà in maniera indiretta.

Azzardando un paragone in un altro campo, quello musicale, è un po’ come imparare ad accordare il proprio strumento ad orecchio piuttosto che con un accordatore. Il rapporto con lo strumento e con il suono che produce migliorerà, e quindi migliorerà anche ciò che suoneremo da quel momento in poi.


Presto ci si renderà conto che le condizioni di luce non sono poi molte come ci si potrebbe aspettare. La luminosità all’interno delle abitazioni o degli ambienti di lavoro ad esempio, che si tratti di quella naturale proveniente da una finestra in una giornata invernale o di quella artificiale prodotta da un lampadario, è più o meno sempre la stessa proprio perché è quella che consente al nostro occhio di leggere un libro senza fatica. Utilizzando una pellicola 400 iso, magari bianco e nero per avere una latitudine di posa maggiore, si potrà scattare ad 1/60 f2 senza troppo timore di sbagliare.

Questo ci fa capire anche perché un tempo, anche a livello amatoriale, erano molto diffuse fotocamere a telemetro dotate di ottiche luminose: l’adozione di tempi di scatto lenti, di un’ottica normale dotata di ampia apertura focale e di una pellicola bianco e nero 400 iso rendeva superfluo l’uso del flash nella maggior parte delle situazioni, cosa importante perché un tempo i lampeggiatori erano piuttosto ingombranti, alimentati da batterie esterne e difficili da impostare correttamente.


Dopo questa lunga premessa, veniamo al dunque: la regola del 16, o “sunny 16” come è definita nel mondo anglofono, era un tempo la principale tabella di riferimento per chiunque desiderasse fotografare, e si trovava stampata praticamente ovunque. All’interno dei cartoncini dei rullini (spesso lo è tutt’ora), sul retro delle fotocamere, sui libretti di istruzioni e così via. Si tratta di una tabella con quattro o cinque condizioni di luce, che è possibile valutare anche in relazione al tipo di ombra proiettata a terra.


Si chiama “sunny 16” perché prevede l’utilizzo del diaframma f16 in condizioni di sole pieno e in luoghi caratterizzati da un forte riverbero (tipicamente sulla spiaggia o sulla neve). Io la definirei piuttosto “regola dell’11”, visto che la condizione di luce di riferimento tipica per chi abita in città può essere semmai quella del sole a mezzogiorno in una giornata senza nubi. In quel caso bisogna impostare il diaframma f11 per l’appunto.

Il tempo di partenza da impostare è sempre il medesimo, ossia il reciproco della sensibilità. Se si sta utilizzando una pellicola da 400 iso sarà necessario impostare 1/400, o il tempo più vicino consentito dalla macchina (di solito 1/500). Per pellicole da 100 iso bisognerà impostare 1/125 di secondo, e così via. Se si desidera impostare tempi più bassi o più alti rispetto a quello di riferimento bisognerà chiudere o aprire il diaframma di uno stop di conseguenza, in modo da mantenere invariato il rapporto tempo/diaframma (è più difficile a dirsi che a farsi).



Vi sono poi veri e propri esposimetri di cartone ispirati a quelli di una volta.


Il Black Cat Exposure Guide è un incrocio fra un regolo calcolatore ed un disco orario. Riporta una tabella con un centinaio di condizioni di luce possibili sul retro; ciascuna è associata ad una lettera, da riportare sul disco sul fronte, il quale fornirà tutte le accoppiate di tempo e diaframma che è possibile utilizzare in relazione alla sensibilità impostata. E’ possibile acquistarlo su Amazon ad una cifra molto contenuta, e consente di valutare anche lunghe esposizioni normalmente al di fuori del range di sensibilità degli esposimetri a cui siamo abituati.



L’Andy’s Handy Exposure Calculator invece è ancora più economico. Si può stampare con la propria stampante di casa e riporta le soluzioni possibili riferite ad una dozzina di situazioni di luce differenti. Io non ho resistito alla tentazione di stampare il mio. Potete scaricarlo qui.


Qui un breve video esplicativo sul suo utilizzo:



Oggi possono sembrare strumenti primitivi, ma sono discendenti diretti dall’actimometro inventato in Inghilterra da Alfred Watkins nel 1890, commercializzato con il nome di Bee Meter. Questo esposimetro consentì nel 1910 ad Herbert Pointing, fotografo della prima spedizione in Antartide, di realizzare le prime immagini di questo remoto quanto sconosciuto continente, che potete ammirare qui. Pointing disse a Watkins che senza il suo esposimetro realizzare quelle foto sarebbe stato impossibile, e il Bee Meter divenne famoso in tutto il mondo (arrivarono ordini persino dalla Cina).

Se poi volete avere sempre con voi un comodo esposimetro esterno a luce incidente e riflessa, vi basterà installare sul vostro smartphone l’ottima App per Android Lightmeter di David Quiles, che potete scaricare a questo link


Trasformerà il vostro smartphone in un esposimetro in stile Lunasix abbastanza affidabile, particolarmente utile per avere un ulteriore lettura di riferimento in situazioni di luce difficili da valutare, specialmente se state utilizzando una fotocamera vintage del tutto priva di esposimetro come una stupenda Nikon F a prisma semplice, una Rolleiflex 3.5b, una Leica IIIf o quant’altro.



Per approfondire:

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