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Intervista a Luana Rigolli


(L'isola degli arrusi © Luana Rigolli)


Conosco e seguo i lavori di Luana Rigolli da almeno una decina di anni. Non ricordo nemmeno dove l’abbia conosciuta, probabilmente su Flickr, ma vedere l’evoluzione di un fotografo è sempre un piacere e con il lavoro “l’Isola degli Arrusi” Luana è riuscita a riportare alla luce una vicenda incredibile quanto poco conosciuta dal grande pubblico. La storia dietro questo progetto sembra un vero e proprio thriller pieno di colpi di scena che merita di essere raccontato, per cui iniziamo quest’intervista proprio parlando de “l’Isola degli Arrusi”.


Sei da poco tempo tornata dal Canada dove hai esposto le foto del progetto “l’Isola degli Arrusi”, puoi spiegare a chi non lo conosce qualcosa di questo progetto?

Sì, è stato esposto all’Istituto Italiano di Cultura a Montreal e il progetto parla della storia di 45 omosessuali di Catania che durante il regime fascista sono stati arrestati e poi mandati al confino alle Isole Tremiti, più precisamente a San Domino, a circa 700km di distanza da casa loro. I fatti si svolgono all’inizio del 1939 e l’accusa a loro rivolta era di pederastia passiva, mentre il reato era quello di essere andati contro il buoncostume e di aver messo in pericolo la razza italiana. Erano infatti state emanate l’anno prima le leggi razziali che servirono come base per giustificare ciò che è avvenuto.


Il caso di Catania è unico?

No, ma è il più eclatante perché il questore di Catania di quegli anni era fin troppo ligio al dovere. Il suo nome era Alfonso Molina e ne fece arrestare il maggior numero avviando una vera e propria ricerca di queste persone nella città. L’altra particolarità di questa vicenda è che tutti i catanesi confinati sono stati inviati nella stessa isola. Il confino sarebbe dovuto durare 5 anni, però per fortuna loro durò solamente un anno e mezzo, poi con l’inizio della guerra nel 1940 venne deciso che i cameroni in cui erano stati confinati dovessero servire al confino degli oppositori politici al regime che erano giudicati più pericolosi.


E che fine hanno fatto?

Vennero rispediti a casa con un bienno di ammonizione. Ciò vuol dire che erano obbligati tutte le mattine ad andare in questura a firmare la presenza e che quindi non potevano lasciare Catania.


Come è stato possibile individuarli? Solo tramite voci?

Beh, loro avevano atteggiamenti femminili e si facevano chiamare con soprannomi femminili, poi chiaramente le voci di paese facevano il resto.


(L'isola degli arrusi © Luana Rigolli)


Come sei venuta a conoscenza di questa storia?

Tramite un libro, non ero nemmeno mai stata alle Isole Tremiti prima di impegnarmi su questo lavoro. Quando andavo a scuola nelle lezioni di storia in cui si parla di quel periodo, del fascismo intendo, nessuno ti spiegava che fossero stati confinati anche gli omosessuali. Un giorno entrando in una libreria sono andata come sempre direttamente al reparto “storia” e c’era un libro usato dal titolo: “La città e l’isola” che ha subito attirato la mia attenzione essendo io appassionata di isole. Il libro di Goretti e Giartosio parlava di questa storia e non appena l’ho letto ho pensato che sarebbe stato giusto realizzarne un racconto fotografico. Contattai pure gli autori, ma senza ricevere aiuto per il mio progetto.


Che tipo di aiuto avresti voluto avere da loro?

Il principale problema era quello di conoscere i nomi veri per potermi poi recare all’Archivio di Stato a Roma. Nel libro infatti tutti i nomi usati sono di fantasia. Per poter iniziare la mia ricerca sono andata a Catania e alle Isole Tremiti e, contemporaneamente, essendomi trasferita a Roma proprio in quel periodo, ho iniziato a frequentare l’Archivio di Stato per fare le mie ricerche. All’Archivio di Stato però avevano bisogno dei nomi per potermi dire qualcosa, altrimenti avevano a disposizione due tomi con all’incirca 17.000 nomi - quelli di tutti i confinati d’Italia - tra i quali cercare le 45 persone di cui mi interessava riportare in vita la storia.


(L'isola degli arrusi © Luana Rigolli)


C’erano tutte le premesse per scoraggiarsi …

Già, ma poi ho avuto un colpo di fortuna perché proprio poco prima di andare all’Archivio di Stato ho trovato on-line un file scannerizzato di una quarantina di pagine dove c’era un elenco di tutti i confinati siciliani con indicati nomi e cognomi e il motivo per il quale erano stati confinati. C’erano anche gli omosessuali, ma di quelli erano riportate solo le iniziali. Era poco, ma era già qualcosa.

A quel punto ho iniziato a fare un doppio controllo concentrandomi sul luogo di nascita, Catania e dintorni, e una volta individuati i primi due o tre nomi mi sono resa conto che il numero di busta era lo stesso associato alle iniziali di queste persone nel file che avevo trovato on-line. Fatte le opportune verifiche in 5 minuti ho scoperto di avere tutto quello che mi serviva per accedere ai documenti originali.

La fortuna è stata quella di trovare quell’elenco on-line, anche perché sono riuscita a trovare elenchi solo di Sicilia e Basilicata, non di altre regioni.


All’Archivio di Stato è stato semplice lavorare?

Per fortuna quanto ti ho appena raccontato è avvento poco prima del Covid. Già in quel periodo era possibile consultare solamente 3 documenti al mattino e 3 al pomeriggio e ciò ha reso tutto più lungo non potendo chiedere direttamente i 45 fascicoli che cercavo. Negli anni del Covid tutto è diventato ancora più complicato e probabilmente avrei dovuto mettere in pausa le mie ricerche.


Cosa c’era in quei fascicoli?

Le loro foto scattate al momento dell’arresto, i verbali, le visite mediche, le lettere con cui chiedevano la grazia e altri documenti. Ho potuto fotografarli chiedendo il permesso e firmando per la mia responsabilità nei confronti della pubblicazione di quei documenti.


(© Luana Rigolli. L’Archivio Centrale di Stato è possessore dei documenti originali qui riprodotti. Ne è vietata l’ulteriore riproduzione e duplicazione con qualsiasi mezzo)


Oggi qualcuno di quei 45 è ancora in vita?

No, non è rimasto più nessuno. Il più giovane infatti è del 1920 e ci sono componenti del gruppo nati sulla fine dell’800. Tramite il libro “La città e l’isola” però sono riuscita a capire quali posti essi frequentassero e ad andare a Catania a vederli e fotografarli. Lì ho trovato anche persone che ne hanno conosciuti alcuni.


Cosa è rimasto a San Domino?

Curiosamente quando sono andata a San Domino mi è capitato di incontrare un signore che all’epoca di questi fatti aveva 12 anni e che si ricorda di questi confinati. Non ricorda episodi specifici, però si ricordava di quando andava a spiarli nei cameroni e che talvolta facevano feste metà vestiti da uomini e metà da donne. Questo ragazzo era tra i pochissimi a vivere sull’isola perché la sua famiglia aveva l’azienda agricola proprio lì, gli altri vivevano altrove. Per il resto rimane una targa fatta apporre nel 2013 da Vladimir Luxuria e uno dei cameroni che è ancora riconoscibile. Il secondo camerone è invece stato inglobato in un hotel ed è impossibile capire cosa sia stato in precedenza se non se ne conosce la storia. È rimasta però la toponomastica visto che una delle vie dell’isola si chiama proprio “via dei cameroni”.


(L'isola degli arrusi © Luana Rigolli)


E a Catania?

Fu apposta una targa più o meno nello stesso periodo, ma non durò più di qualche giorno perché i discendenti del questore la fecero togliere e non si sa in quale magazzino si trovi oggi.


Hai trovato qualche discendente dei 45 confinati?

Alcuni di loro si erano sposati e avevano avuto dei figli, ma non c’è stato modo di approfondire.


Come è stato accolto questo tuo lavoro?

Come ti dicevo è stato esposto in Canada, ma prima è stato pubblicato in Olanda sul National Geographic e poi in Germania su una rivista che si chiama “Mare” che si occupa di storie di mare e che era quindi interessata a questo mio racconto.