l dicembre della luce bassa, Roma come set naturale e il sole come direttore della fotografia
- Alessandro Fabiani

- 6 giorni fa
- Tempo di lettura: 3 min

Archivio Gabriele Basilico©
Dicembre fa una cosa semplice e generosa, abbassa il sole e allunga le ombre, che è un modo garbato per dire agli edifici e ai volti di mostrarsi con più rilievo e meno abbaglio. A Roma, per non cercare alibi, il solstizio cade il ventuno pomeriggio, la giornata è corta, il mezzogiorno alza il sole di poco e la luce radente lavora gratis tutto il giorno. I dati sono un modo elegante per cominciare a ragionare con la testa e non solo con gli occhi. Le tabelle pubbliche con altezze del sole, ore di alba e tramonto, ricordano che attorno a Natale la giornata si rifugia sotto le dieci ore, il sole sorge con azimuth spostato verso sudest e scende in fretta a sudovest, il che significa che i controluce dignitosi si ottengono senza fare ginnastica. Il calendario della città è chiaro, il solstizio a Roma nel 2025 è alle 16,03, l’ora dorata dura di più, il blu stende la tovaglia prima di cena. La cosa più bella è che in inverno l’altezza massima del sole resta modesta, la luce percorre più atmosfera, si scalda e si diffonde, il contrasto si abbassa, e i materiali ringraziano.
Le spiegazioni fenomenologiche non sono un vezzo da manuale, aiutano a decidere come uscire di casa. Quando il sole viaggia basso, la luce attraversa più aria, l’azzurro si sporca, le ombre si allungano e il microcontrasto si addolcisce, lo insegna qualunque guida seria, con l’avvertenza che la morbidezza non è sciatteria, è un tipo di nitidezza che si conquista scegliendo l’angolo e non il cursore di chiarezza. È lo stesso motivo per cui i rilievi naturali, come le increspature di un muro o le rughe di una facciata, saltano fuori meglio con incidenza radente, antica sapienza di geologi e cartografi che usano il sole basso per leggere la forma. Non bisogna diventare topografi, basta capire che a dicembre la città diventa un bassorilievo continuo e il fotografo può decidere dove mettere la lama della luce.
Questa geometria ha un risvolto operativo, e non è una figura retorica. Conviene studiare il percorso del sole sui siti che calcolano azimuth e altezza istante per istante, farsi una pagina segnalibro con i grafici e sovrapporre quel tragitto alla pianta dei luoghi frequentati. Il ponte sul Tevere che funziona in primavera potrebbe lavorare peggio a dicembre, mentre un marciapiede anonimo con il sole di traverso può diventare improvvisamente uno spazio teatrale. Gli strumenti gratuiti esistono, vanno da tabelle con alba, tramonto e mezzogiorno vero a calcolatori completi con curve di altezza e ombra, non bisogna essere ossessivi, basta prendere l’abitudine a dialogare con i numeri prima delle scarpe.
La faccenda dei colori merita due parole in più, perché l’inverno cittadino inganna. Il cielo sereno restituisce mezzetinte calde in prossimità dell’orizzonte e un ciano più duro in alto, la carne tende a raffreddare in ombra aperta, le superfici neutre prendono dominanti che la mente cancella e il sensore no. Qui si guadagna impostando un bilanciamento coerente con l’intenzione, manuale se si vuole un racconto costante, automatico se si preferisce seguire il variare della scena, ma con un occhio a non mescolare in post due mondi incompatibili. Il bello dell’inverno è proprio questa lotta gentile tra temperatura colore e materia. La moda della saturazione per forza non aiuta, dicembre chiede una tavolozza più onesta, lasciare che l’aria si veda, non ridurla a glassa. La teoria la si può riassumere in un appunto, sole basso uguale strada lunga nell’aria, più diffusione, meno abbaglio, resa più continua, e quindi margine creativo maggiore. Le guide divulgative lo spiegano da sempre, spesso in modo pratico, ricordando che l’altezza ridotta del sole rende la luce meno intensa e più morbida.
Infine un piccolo trucco di stagione che non è un trucco. La città ha superfici riflettenti dappertutto, vetrine, finestrini, acqua, marmi lucidati dalla pioggia, e in inverno questi specchi improvvisati lavorano di più perché il sole li colpisce a incidenza dolce. Non serve inseguire il lampo, basta posizionarsi in modo che una facciata riceva luce radente e l’altra stia in penombra, il soggetto attraverserà naturalmente una soglia di luce che racconta più di una posa. È lo stesso principio che si usa da sempre nell’aerofotogrammetria con il sole basso per far emergere rilievi e bordi. Se serve conferma, le vecchie dispense sulla fotografia a basso angolo solare sono una lettura che disarma per semplicità, sembrano scritte per chi cammina lungo i lungoteveri in dicembre.
















Commenti